Perché noi giornalisti non possiamo considerarci «comuni cittadini»
I fatti sono fatti, e non insinuazioni. Al pubblico e ai lettori il giudizio finale Carlo Mentana, ma che giornalismo è quello che si occupa dei giornalisti?
Quando ho visto la sua foto sul Giornale di Feltri, io, che leggevo quel quotidiano ai tempi di Montanelli e poi non più, l’ho letto e mi sono detto: chi se ne importa (con tutto il rispetto per lei). E poi mi hanno detto che da tempo c’è una campagna in atto contro Repubblica (altro quotidiano che non leggo) e oggi vedo un attacco violento e privato con titolo a nove colonne su un altro direttore, quello dell’Avvenire (l’ho letto al bar). È questo che ci meritiamo? Questa informazione?
Renzo M., Pavia
Lasciamo perdere l’aspetto personale e guardiamo con freddezza alla sostanza. Il giornalismo è il mestiere di informare, certo. Ma vuol dire anche dare a un pubblico di lettori, ascoltatori o telespettatori notizie e commenti ispirati al patto che si è instaurato con quel pubblico. Un giornalista può lavorare in un quotidiano sportivo, in una rivista di strategia internazionale, in un settimanale di gossip. Sempre il giornalista fa. Con un’etica e degli obblighi professionali che sono gli stessi sia che parli di Totti sia che scriva di Obama.
1. Non dire il falso,
2. non violare la privacy di nessuno,
3. non mettere di mezzo minori,
4. non ottenere in modo illegale le notizie,
5. verificare le fonti.
Dentro queste linee guida un giornale, un tg, una rubrica di approfondimento possono fare quello che vogliono, sapendo bene di doversi misurare anche con i gusti del pubblico (vince chi dà per primo le notizie, o le dà meglio, ma anche chi vende più copie o ha più ascolto). Audience e tiratura sono materie che più dovrebbero interessare gli editori, che però in Italia spesso concepiscono in modo distorto il loro mestiere, utilizzando le testate come strumenti di pressione o di potere.Tutto questo è noto. Ma ci serve anche per dare le risposte che il lettore vuole. Anche nell’informazione si tende a rispettare la vita privata dei personaggi pubblici, che pure in quanto tali non hanno lo stesso diritto alla privacy dei comuni mortali. Negli ultimi mesi questa consuetudine – non un obbligo né un adempimento di legge – è stata abbandonata per quanto riguarda Berlusconi. Ma con almeno due agganci obiettivi alla realtà dei fatti: la richiesta di divorzio fatta dalla moglie dopo la partecipazione del premier alla festa dei 18 anni di una ragazza napoletana, e gli sviluppi di un’inchiesta giudiziaria che evidenziava tra le sue carte la presenza di professioniste del sesso in feste a casa del Cavaliere. C’è chi attorno a queste vicende ha costruito una insistente campagna di stampa, Repubblica, chi è stato obiettivamente più cauto, il Corriere della Sera ad esempio, chi ha ignorato il tutto, come il Tg1, teorizzandone l’insignificanza. C’è anche chi ha cercato di fare «controinformazione » sull’argomento. Il più spregiudicato è stato Libero, diretto da Vittorio Feltri. Ora Feltri è tornato al Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, e continua nell’opera, con lo stesso stile corrosivo e gridato. Ha duramente messo in mezzo il direttore di Avvenire, nel modo che sappiamo. Il senso era chiaro: eccolo lì quello che voleva fare la morale al premier, giudicate voi da che pulpito è partita la predica. Io un attacco così non l’avrei mai fatto e nella pagina precedente Gad Lerner è già stato molto duro. Ma è giusto anche dire che l’invettiva del Giornale parte da un fatto, una condanna per molestie patteggiata. E un fatto è un fatto. Non è un’insinuazione, come non lo è l’inchiesta giudiziaria di Bari. Anche se l’attacco di Feltri a Boffo è interpretato come «colpirne uno per educarne cento », rispetto agli altri giornalisti che si sono esposti nelle critiche sulle feste del Cavaliere, io reputo che anche noi giornalisti non possiamo considerarci comuni cittadini, o peggio «legibus soluti». Proprio perché protagonisti del dibattito pubblico e amministratori del bene collettivo dell’informazione, abbiamo molte responsabilità, e ci capita di rispondere dei nostri comportamenti, se hanno avuto una sanzione civile o penale. Poi sta ai lettori o agli spettatori scegliere se un attacco è motivato, eccessivo o inutile, se è giusto o strumentale, se seguire più spesso o smettere di leggere o di guardare chi l’ha lanciato. E allo stesso modo spetta a chi ha sancito la credibilità o popolarità del soggetto attaccato soppesare la congruità o la gratuità delle accuse. Spesso questo genere di fuoco incrociato allunga la vita professionale di chi lo subisce, perché ispessisce le solidarietà e le fedeltà del pubblico: ma questo ormai lo dovrebbe aver capito anche il bersaglio numero uno…
Su Vanity Fair 36/2009
I fatti sono fatti, e non insinuazioni. Al pubblico e ai lettori il giudizio finale Carlo Mentana, ma che giornalismo è quello che si occupa dei giornalisti?
Quando ho visto la sua foto sul Giornale di Feltri, io, che leggevo quel quotidiano ai tempi di Montanelli e poi non più, l’ho letto e mi sono detto: chi se ne importa (con tutto il rispetto per lei). E poi mi hanno detto che da tempo c’è una campagna in atto contro Repubblica (altro quotidiano che non leggo) e oggi vedo un attacco violento e privato con titolo a nove colonne su un altro direttore, quello dell’Avvenire (l’ho letto al bar). È questo che ci meritiamo? Questa informazione?
Renzo M., Pavia
Lasciamo perdere l’aspetto personale e guardiamo con freddezza alla sostanza. Il giornalismo è il mestiere di informare, certo. Ma vuol dire anche dare a un pubblico di lettori, ascoltatori o telespettatori notizie e commenti ispirati al patto che si è instaurato con quel pubblico. Un giornalista può lavorare in un quotidiano sportivo, in una rivista di strategia internazionale, in un settimanale di gossip. Sempre il giornalista fa. Con un’etica e degli obblighi professionali che sono gli stessi sia che parli di Totti sia che scriva di Obama.
1. Non dire il falso,
2. non violare la privacy di nessuno,
3. non mettere di mezzo minori,
4. non ottenere in modo illegale le notizie,
5. verificare le fonti.
Dentro queste linee guida un giornale, un tg, una rubrica di approfondimento possono fare quello che vogliono, sapendo bene di doversi misurare anche con i gusti del pubblico (vince chi dà per primo le notizie, o le dà meglio, ma anche chi vende più copie o ha più ascolto). Audience e tiratura sono materie che più dovrebbero interessare gli editori, che però in Italia spesso concepiscono in modo distorto il loro mestiere, utilizzando le testate come strumenti di pressione o di potere.Tutto questo è noto. Ma ci serve anche per dare le risposte che il lettore vuole. Anche nell’informazione si tende a rispettare la vita privata dei personaggi pubblici, che pure in quanto tali non hanno lo stesso diritto alla privacy dei comuni mortali. Negli ultimi mesi questa consuetudine – non un obbligo né un adempimento di legge – è stata abbandonata per quanto riguarda Berlusconi. Ma con almeno due agganci obiettivi alla realtà dei fatti: la richiesta di divorzio fatta dalla moglie dopo la partecipazione del premier alla festa dei 18 anni di una ragazza napoletana, e gli sviluppi di un’inchiesta giudiziaria che evidenziava tra le sue carte la presenza di professioniste del sesso in feste a casa del Cavaliere. C’è chi attorno a queste vicende ha costruito una insistente campagna di stampa, Repubblica, chi è stato obiettivamente più cauto, il Corriere della Sera ad esempio, chi ha ignorato il tutto, come il Tg1, teorizzandone l’insignificanza. C’è anche chi ha cercato di fare «controinformazione » sull’argomento. Il più spregiudicato è stato Libero, diretto da Vittorio Feltri. Ora Feltri è tornato al Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, e continua nell’opera, con lo stesso stile corrosivo e gridato. Ha duramente messo in mezzo il direttore di Avvenire, nel modo che sappiamo. Il senso era chiaro: eccolo lì quello che voleva fare la morale al premier, giudicate voi da che pulpito è partita la predica. Io un attacco così non l’avrei mai fatto e nella pagina precedente Gad Lerner è già stato molto duro. Ma è giusto anche dire che l’invettiva del Giornale parte da un fatto, una condanna per molestie patteggiata. E un fatto è un fatto. Non è un’insinuazione, come non lo è l’inchiesta giudiziaria di Bari. Anche se l’attacco di Feltri a Boffo è interpretato come «colpirne uno per educarne cento », rispetto agli altri giornalisti che si sono esposti nelle critiche sulle feste del Cavaliere, io reputo che anche noi giornalisti non possiamo considerarci comuni cittadini, o peggio «legibus soluti». Proprio perché protagonisti del dibattito pubblico e amministratori del bene collettivo dell’informazione, abbiamo molte responsabilità, e ci capita di rispondere dei nostri comportamenti, se hanno avuto una sanzione civile o penale. Poi sta ai lettori o agli spettatori scegliere se un attacco è motivato, eccessivo o inutile, se è giusto o strumentale, se seguire più spesso o smettere di leggere o di guardare chi l’ha lanciato. E allo stesso modo spetta a chi ha sancito la credibilità o popolarità del soggetto attaccato soppesare la congruità o la gratuità delle accuse. Spesso questo genere di fuoco incrociato allunga la vita professionale di chi lo subisce, perché ispessisce le solidarietà e le fedeltà del pubblico: ma questo ormai lo dovrebbe aver capito anche il bersaglio numero uno…
Su Vanity Fair 36/2009
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