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lunedì 14 settembre 2009

Riconoscere i sentimenti naturali negativi: la frustrazione

Più o meno consapevolmente, ogni nostra azione trova la sua spinta nel desiderio di soddisfare un bisogno.
In tali circostanze, quando tutto va bene la tensione che ci carica si risolve in una naturale soddisfazione. Al contrario, quando incontriamo degli ostacoli, la tensione che sino a quel momento ci ha sorretto e trasportato si scontra con l'ostacolo stesso, fermando la sua corsa. Tutto ciò si ripercuote sul nostro stato d'animo, generando "frustrazione".
Questo sentimento negativo può indurre pessimismo, impedendo una corretta visione delle cose e viziando le nostre azioni successive. In definitiva, l'impatto con un ostacolo genera un'ulteriore barriera che, per quanto possa risultare "antipatica", fa parte della nostra vita quotidiana: la frustrazione.
E' vero che talvolta essa suscita reazioni esagerate, ma è altrettanto vero che disponiamo di un'infinità di espedienti per farvi fronte e, molto spesso, anche per volgerla a nostro vantaggio.
Come le vaccinazioni ci hanno immunizzato nei confronti di talune malattie, così le esperienze vissute sin dai primi anni di vita ci possono aver preparato nei confronti delle frustrazioni proprie dell'età adulta.
Per quanto lo stato emotivo che connota il sentimento di frustrazione possa apparire sgradevole, superata la prima ondata di negatività può assumere una connotazione funzionale.
La frustrazione, infatti, accresce la carica, facilitando il raggiungimento dello scopo.
In altri termini, rispondere alla frustrazione in modo adeguato significa usarla come punto d'appoggio per superare l'ostacolo che si frappone fra noi e il raggiungimento dell'obiettivo. Naturalmente questa operazione, per quanto indispensabile, non è né semplice né facile: per attuarla é necessario esaminare non solo le caratteristiche della vicenda, ma soprattutto le nostre reazioni senza cercare di ingannarci.
Provando e riprovando, mettendo a fuoco l'obiettivo, facendo un'analisi accurata delle circostanze oggettive o affrontando un lavoro di introspezione per scoprire se e quanto il fallimento dipenda effettivamente da una causa esterna oppure da noi, sarà possibile utilizzare positivamente la frustrazione, affrontando con più slancio l'ostacolo oppure modificando il proprio comportamento, a seconda dei risultati dell'analisi.
Le cause della frustrazione
Le barriere che non permettono all'individuo di raggiungere un obiettivo sono di numerosissimi tipi, ma possono venire raccolte in tre gruppi fondamentali da cui derivano:
  • ambiente fisico
  • ambiente sociale
  • cause personali
Descriviamo ciascun gruppo singolarmente.
L'ambiente fisico
Rientrano in quest'ambito tutti gli ostacoli che si oppongono concretamente alla soddisfazione dei bisogni dell'individuo.
L'automobilista che ha fretta si sentirà frustato ogni qualvolta incontrerà un ingorgo.
Gli ostacoli determinati dall'ambiente fisico di solito vengono tollerati senza eccessivo sforzo dall'individuo, poiché sono anonimi, privi di significato personale e di intenzionalità.
Quando vorremmo procedere velocemente alla guida della nostra automobile e tre o quattro semafori rossi ci bloccano, sopportiamo il conseguente sentimento di frustrazione in virtù della consapevolezza che non sono stati messi lì apposta per intralciare il nostro cammino. Naturalmente fanno eccezione i paranoici animisti, convinti che il semaforo nutra segreti rancori proprio nei loro confronti. Ma questa è un'altra storia.
L'ambiente sociale
Al contrario delle precedenti, le frustrazioni derivanti dall'ambiente sociale sono più difficili da accettare, in quanto sono dovute alla presenza e all'azione di altri individui vicini a noi.
Il lavoratore non è tanto suscettibile alle frustrazioni derivanti dall'ambiente fisico (rumori molesti, spazio limitato, scarsa luminosità, ecc.) quanto a quelle determinate dalle persone che lo circondano: il suo diretto superiore che afferma di non potergli concedere le ferie nel periodo richiesto, alcuni colleghi che tendono a escluderlo dal loro gruppo durante la pausa pranzo e così via.
In questo quadro le maggiori fonti di frustrazione sono rintracciabili nei riti, nelle consuetudini, nei doveri e nei divieti impliciti ed espliciti di cui la nostra vita è costellata.
E' anche vero che la saggezza popolare, proprio in quanto tale, sa trovare anche le sue scappatoie. Così, se da un lato si afferma che l'unione fa la forza, dall'altro si risponde che chi fa da sé fa per tre.
Allo stesso modo, all'eticissima affermazione l'onestà prima di tutto si contrappone il funzionale suggerimento per cui gli affari sono affari.
In qualche caso si può scegliere fra una posizione e l'altra: dipende da quel che si vuole dimostrare o dall'obiettivo che si intende raggiungere. In molti altri casi non è così, e il vincolo rimane.
Cause personali
L'individuo stesso può racchiudere in sé le cause della propria frustrazione.
Alcune di queste possono essere psicologiche, altre legate alla costituzione fisica.
Un esempio delle prime può essere individuato in un'eccessiva timidezza che non permette di parlare con quella persona "particolarmente simpatica", oppure in una spiccata emotività che, trasformandoci in una sorta di duplicato fantozziano, rende disastroso il nostro colloqui di lavoro.
La situazione diviene intollerabile quando siamo consapevoli delle nostre potenzialità e del modo in cui il limite riesce a comprimerle.
Fra le cause del secondo tipo vengono individuate come fonte di frustrazione tutte le limitazioni determinate dall'organismo che, per immaturità fisiologica o alterazione funzionale, impediscono il soddisfacimento di un bisogno.
Un adulto che presenti un difetto all'udito (alterazione funzionale) porta in sé la causa di frustrazione che gli impedisce di partecipare alla conversazione dei familiari.
Quali sono le risposte adeguate che permettono di superare la frustrazione?
D. Krech e R. S. Crutchfield, psicologi dell'Università di Berkeley (California), hanno sperimentalmente identificato i tre tipi di risposte più frequenti:
  • intensificazione dello sforzo
  • cambiamento dei mezzi
  • sostituzione dell'obiettivo
Prendiamoli in considerazione individualmente.
Intensificare lo sforzo
Di solito rappresenta la risposta più immediata.
Entro certi limiti, quanto maggiore è l'ostacolo tanto superiori devono essere le energie messe in moto per superarlo. Sappiamo bene che talvolta la sfida lanciata dalla delusione dei risultati dei nostri sforzi produce un "attacco" più intenso.
Probabilmente la forza della nostra motivazione raggiunge il suo massimo proprio quando incontriamo un ostacolo: mancando quello, gli impegni rientrano più o meno nella routine e vengono eseguiti senza entusiasmo.
Chi si sia accinto per la prima volta a ritinteggiare il proprio appartamento ipotizzando di completare l'opera in due giorni, conosce bene la frustrazione che si prova la sera quando, nonostante l'attrezzatura predisposta e gli sforzi profusi, si accorge di aver dipinto a malapena il 20% della superficie totale. La notte passa fra sogni di paradisi tropicali, dove le abitazioni hanno solo il tetto.
Al mattino lo stato d'animo della sera precedente, che insinuava pensieri di incapacità e inettitudine, può trasformarsi in una sorta di determinazione implacabile: "pareti... a noi due". I movimenti diventano rapidi e precisi, ogni distrazione è bandita, fame e sete vengono percepite solo quando si trasformano in dolore fisico: si procede determinati e implacabili sino a quando il rimanente 80% del restauro é stato completato.
Lo stato di tensione prodotto dalla frustrazione costringe l'individuo a fermarsi, mettendolo nella condizione di dover valutare l'effettiva funzionalità dell'obiettivo stesso. Scoprire che in realtà essa ha una portata inferiore alle previsioni gli fornisce la serenità sufficiente per individuare nuove mete da raggiungere, talvolta completamente diverse, ma soprattutto effettivamente più funzionali ai suoi bisogni e alle sue aspettative.
Un giovane laureato in legge non riece a sfondare nella libera professione.
Un'analisi sincera e attenta può permettergli di comprendere che ha seguito quel corso di studi solo per far felici i genitori, senza un reale interesse personale. Proprio questa mancanza di spinta interiore gli rende impossibile canalizzare nel lavoro quelle energie che sarebbero necessarie per diventare un principe del foro o, almeno, per avere abbastanza patrocinati da poter sopravvivere.
Compresa la situazione, il giovane può fare quello che ha sempre desiderato, e apre una birreria. Il piacere intrinseco del lavoro gli fa ottenere grandi successi, che mantiene e incrementa anche grazie alle nozioni di diritto, che utilizza nei rapporti con il fisco e gli altri uffici pubblici. In breve diviene titolare di una catena di birrerie, tanto che i genitori gli dicono: "Bravo come sei, chissà che splendido avvocato saresti stato".
Cambiare i mezzi
Esistono casi in cui, nonostante lo sforzo sia stato notevole e gli strumenti adottati adeguati, l'obiettivo rimane lontano. Ne abbiamo testimonianza quando l'improvvisato imbianchino comincia a valutare l'ipotesi di abbandonare l'impresa fra la camera e il salotto. In situazioni del genere uno dei modi per uscire dallo stato di frustrazione consiste nel considerare la situazione da un nuovo punto di vista. La risposta alla domanda "ho agito nella maniera giusta o avrei dovuto usare mezzi diversi?" costituisce un elemento utile per trasformare il sentimento negativo in un'energia più utile per superare l'ostacolo. In altri termini, talvolta l'insorgere di problemi che si frappongono fra noi e il nostro obiettivo richiede un cambiamento di strategia.
Infatti, non sempre il rinforzo di un comportamento si dimostra vincente. Persone convinte di poter ottenere ciò che vogliono da chiunque per il solo fatto di essere simpatiche possono fallire miseramente davanti a un interlocutore "tutto d'un pezzo": più loro insistono con battute di spirito e tentativi di familiarità, più l'altro si sentirà irritato e reagirà negativamente. Invece di perseverare, inquinando sempre più la situazione, sarebbe bene che si chiedessero dove hanno sbagliato, ristrutturando il loro approccio.
L'imbianchino estemporaneo potrebbe decidere di sostituire il pennello con un rullo, di modificare la densità della tinta usata o di farsi sostituire da un professionista.
Nella ricerca ricerca di un surrogato valido dell'obiettivo iniziale, la tensione che si viene a produrre, sostenuta dalla necessità di soddisfare comunque il bisogno, spinge il soggetto verso la ricerca di un traguardo analogo a quello non raggiungibile, altrettanto valido, ma che presenti ostacoli meno impervi lungo il percorso per ottenerlo. Da notare come, proprio in virtù della novità che esso rappresenta, una volta individuato può diventare addirittura più attraente di quello iniziale.
Ammettiamo che il re delle birrerie dell'esempio precedente avesse un compagno di studi universitari realmente attratto dalla professione forense.
Questi, nonostante la propria passione, può aver trovato la libera professione troppo frustrante per tutte le difficoltà economiche e organizzative che ha incontrato.
Ridefinendo il proprio obiettivo, cerca e trova lavoro presso l'ufficio legale di una banca di interesse nazionale dove, motivatissimo, fa rapidamente carriera.
Sostituire l'obiettivo
Talvolta per raggiungere la propria meta occorre trovare una strada nuova, come ben sanno tutti gli automobilisti che cambiano percorso per evitare un ingorgo del traffico. Ma in talune occasioni ciò non è ancora sufficiente. In questi casi può essere necessario trovare un obiettivo nuovo in grado di soddisfare i nostri bisogni, dato che quello individuato precedentemente non è raggiungibile, almeno per il momento.
L'aumento della tensione rende possibile innalzare lo stato di attenzione, facilitando l'individuo nella ricerca di una nuova destinazione.
Il traffico impedisce assolutamente di rilassarsi trascorrendo una giornata di primavera al mare? E noi ci rilasseremo con una bella passeggiata in collina.
L'incremento di attenzione e di vigilanza può far aprire gli occhi sull'obiettivo individuato, permettendo di:
  • modificare del tutto l'obiettivo
  • sostituirlo con un surrogato altrettanto valido
(fonte: Paolo Boschi e Lucia Sprugnoli)

mercoledì 9 settembre 2009

Le tendenze alimentari del terzo millennio provengono dagli USA

Diverso sì, ma non troppo
Una delle principali tendenze delineatesi negli USA sul filo del nuovo Millennio è l'americanizzazione dei sapori. Dopo l'esplosione delle cucine orientali e messicane degli anni passati, oggi la tendenza è verso sapori nuovi sì, ma non troppo diversi da quelli conosciuti.
Se tre consumatori americani su quattro si aspettano di trovare sul menu del giorno i piatti di stile casalingo, il terzo restante non vuole rinunciare a qualcosa di più appetitoso e diverso. D'altra parte, nonostante questo approccio più "americanizzato" verso i sapori stranieri, un 30% dei consumatori è più che mai attratto dai sapori nuovi ed insoliti.
Un'altra tendenza destinata ad affermarsi è lo spostamento delle basi tecniche degli chef americani dal classico stile francese a quello dell'estremo oriente, con un fiorire di verdure cotte in tempura, miso, salse di pesce, pasta di riso e satay, accanto ai già conosciuti ed apprezzati piatti al sesamo, alla soia, al tamarindo od allo zenzero.
In un prossimo futuro c'è anche da aspettarsi che le varietà asiatiche di basilico, menta, coriandolo, scalogno, bok choy e funghi esotici vengano poco a poco a sostituire cipolle, pomodori e lattuga made in USA, insieme a salse speziate dal sapore indiano.
Nel Sud America, anche la cucina latina aggiungerà alle proprie specialità un tocco di originalità con un pizzico di cumino, pepe tropicale, zafferano, paprica affumicata e coriandolo, proponendo nello stile "Nuevo Latino" una mescolanza di sapori messicani e latino-americani, mentre i piatti caraibici riscuoteranno applausi e consensi per la nuova voglia di specialità grigliate e di aromi dolci, delicati a base di zucchero di canna, melassa e sciroppo d'acero.
Un'altra sfida che il nuovo millennio porta con sé è la capacità di identificare i descrittori gastronomici più attraenti.
Così il termine "asiatico" viene preferito ad "orientale", come "caraibico" indicherà "tropicale" ed i sapori "cubani" ad "Havana" saranno più alla moda dei "latini".
Nel segno della tradizione, anche gli alimenti kosher dovrebbero vivere momenti di gloria nei prossimi anni, in una realtà in cui cresce sempre più l'attenzione alla purezza ed alla qualità.
(Laura Sbarato, Industrie Alimentari, 2000, luglio-agosto, 854-856)

lunedì 7 settembre 2009

Coaching

"Il vero capo è sempre guidato"
Carl Gustav Jung
"Il popolo dev'essere guidato e non istruito"
Voltaire
Il coaching è il processo attraverso il quale si aiutano individui e gruppi di persone a realizzare obiettivi che da soli non potrebbero raggiungere, e a dare il meglio per produrre risultati in modo veloce ed efficace, sostenendo le loro scelte e offrendo loro gli strumenti per ricercare in sé stessi le risorse necessarie ad attuare precisi e mirati piani d'azione per il raggiungimento del successo.
Il termine coach deriva dall'inglese "coche" che corrisponde al moderno "wagon" (carro) o "carriage" (carrozza), quindi allude all'idea di trasporto. Furono poi degli studenti universitari ad attribuire l'appellativo di Coach ai loro tutor migliori, proprio a sottolinearne il ruolo di supporto. Nel linguaggio sportivo la parola Coach indica infatti l'allenatore con il duplice ruolo di "tecnico" esperto dello sport in questione ma anche motivatore, capace di infondere ai suoi atleti l'energia, l'entusiasmo e la carica necessari ad affrontare la sfida della gara.
Il coach é dunque un veicolo di cambiamento, di crescita: trasporta una o più persone da uno stato di partenza alla meta desiderata, la vittoria nel caso sportivo, il raggiungimento di determinati obiettivi, come trovare lavoro o acquisire nuove quote di mercato, nel caso del coaching personale o aziendale) grazie alla definizione degli obiettivi e di un piano d'azione. Il suo obiettivo principale è far emergere le nostre capacità, a differenza dei modelli formativi tradizionali, non cerca quindi di infondere in noi competenza e informazioni, ma accende quelle che in noi sono presenti dandoci modo di attingere ad esse per ottenere ciò che vogliamo.
Come raggiungere con assoluta certezza i propri obiettivi di lavoro personali e finanziari
Cosa ci impedisce di raggiungere quotidianamente i nostri obiettivi?
Cosa ci tiene lontani da ciò che realmente desideriamo?
La risposta è una sola: la mancanza di focalizzazione, ovvero la capacità di concentrarci sulle nostre priorità.
Fornitevi di strumenti migliori per concentrarvi sulle vostre priorità, migliorando notevolmente il vostro conto in banca, rinsaldando le vostre relazioni più importanti e guadagnando più tempo libero.
Imparate come:
Concentratevi sulle vostre forze eliminando tutto ciò che ci blocca.
Affinare e rafforzare la sicurezza in voi stessi e diventare intraprendenti.
Trasformare le cattivi abitudini, liberarsi dai debiti e ottenere la prosperità desiderata.
Creare un eccellente equilibrio tra vita professionale e vita familiare, senza più sensi di colpa.
La vostra capacità di focalizzare l'obiettivo e le vostre nuove abitudini determineranno il vostro futuro.
La vita non è solo un caso. Al contrario, essa dipende in massima parte dalle scelte e dal vostro modo di reagire a ogni situazione. Sono proprio le vostre decisioni e i vostri comportamenti quotidiani a determinare il vostro futuro. Le persone che si concentrano su quello che desiderano, progrediscono; quelle che non ci riescono, si affannano.
Scoprire come modificare le vostre abitudini improduttive e perditempo, sostituendole con modelli di comportamento più efficaci e imparare inoltre a mettere in pratica le strategie di focalizzazione utilizzate dalle donne e dagli uomini più affermati del mondo.
La qualità della nostra esistenza è in diretta proporzione alla qualità delle emozioni che viviamo quotidianamente. Emozione è un termine che deriva dal latino ex-movere, mettere in moto. Il nostro comportamento è un veicolo attraverso il quale trasmettiamo emozioni, ma, al tempo stesso, le emozioni sono il motore che spinge ogni comportamento. Conoscere come hanno origine le nostre emozioni e come sia possibile gestirle al meglio attraverso il controllo della fisiologia, del linguaggio e del focus.
Cos'è in realtà il fascino e come si può esercitare con successo? Viene quasi spontaneo, quando si parla di seduzione, pensare a donne e uomini che ne incarnano un modello: da Cleopatra e Giacomo Casanova fino a Nicole Kidman e Johnny Depp; ma cosa rende queste persone affascinanti? E soprattutto si può apprendere l'arte della seduzione?
Chi non ha mai detto io non ho paura? Spesso pronunciamo queste parole davanti agli altri e a noi stessi, per convincerli e convincerci di essere all'altezza del modello di uomo e donna imposto dalla nostra società che considera la paura un'emozione negativa una forma di debolezza. La paura svolge anche una funzione positiva di meccanismo di difesa e diviene improduttiva e dannosa solo quando si estremizza, trasformandosi in fobia o comunque in un'energia che acquista il potere di indebolirci, limitandoci nell'azione. Per difenderci da essa è utile ricordare che la paura è solo uno stato mentale, una nostra creazione. Più ci focalizziamo su di essa più le diamo potere.
Le parole esercitano su di noi un potere di cui, non siamo del tutto consapevoli. Ti sarà forse capitato di apprezzare le capacità persuasive di alcune persone e il loro sapiente uso del termine giusto al momento giusto. Ma quanto sei consapevole degli effetti che hanno su di te aggettivi, verbi e sostantivi che utilizzi quotidianamente? Scoprire il potere magico che le parole che usi esercitano su di te, tanto da diventare la tua realtà. Puoi apprendere, attraverso il gioco del linguaggio trasformazionale, un modo per incantarti positivamente e come sia possibile, cambiando il tuo linguaggio, cambiare il tuo atteggiamento nei confronti della vita e dunque i risultati che ottieni con il tuo comportamento.
Non ti piaci, il tuo corpo ti appare inadeguato e ti senti insicura? Viviamo in una società basata sull'immagine che ci propina in ogni momento stereotipi di bellezza sempre più difficili da raggiungere e al prezzo di diete rigide e poco efficaci. La tesi di fondo è che se vogliamo apparire belli, la cosa migliore da fare è scoprirci tali. La bellezza è dentro di te e solo se ti accetti, se ti trovi bella, anche gli altri lo faranno. Puoi imparare ad apprezzarti e farti apprezzare anche dagli altri.
Non si può fare tutto da soli: collaborazione, rispetto dei ruoli e divertimento aiutano ad affrontare e vincere insieme le sfide della vita. L'uomo è, per natura, un "animale sociale". Il bisogno di connessione è infatti uno dei bisogni fondamentale dell'essere umano, che trova nella capacità di dare agli altri il senso più profondo della propria vita e il vero appagamento. Tutti noi facciamo dunque parte di una o più squadre nel corso della nostra vita: la famiglia, l'azienda, il gruppo dei pari...Esaminare quel delicato equilibrio su cui si regge una squadra, che prende il nome di interdipendenza, la filosofia e le caratteristiche di una squadra vincente e suggerisce l'atteggiamento migliore per essere veramente membri di una squadra.
Puoi sfruttare al meglio l'analisi transazionale, una teoria della personalità elaborata da Eric Berne negli anni '50 che ha per oggetto la transazione, ovvero lo scambio che si verifica tra due individui che comunicano.
Scopo dell'analisi transazionale è indagare il comportamento dei soggetti in relazione, comprendere le motivazioni per cui a volte ci si sente a disagio durante una comunicazione, individuare le modalità più opportune per evitare conflitti e vivere in arminia con gli altri, oltre vhe con se stessi (io sono ok, tu sei ok).
Lo studio delle transazioni ha permesso di individuare elementi profondi della personalità denominati "Stati dell'io". Gli stati dell'io sono insiemi di pensieri, comportamenti, azioni con cui il soggetto entra in relazione con l'ambiente esterno. Esistono fondamentalmente 3 Stati dell'Io, il Genitore, il Bambino e l'Adulto. Ciascuno di essi prevale in situazioni ed interazioni diverse.
Essere consapevoli degli stati dell'io, dei ruoli giocati da noi stessi e dal nostro interlocutore nelle diverse situazioni, ci permette di adattarci meglio ad esse, di recepire correttamente il messaggio del nostro interlocutore e di rispondere in modo efficace.
(Fonte: web)
Master in coaching, diventare personal coach http://ekis.corsi-studio.com/
Per saperne di più consulta il sito hrdonline.it http://www.hrdonline.it/

Diventare leader di se stessi

Divenire consapevoli dei propri conflitti interiori, gestire al meglio le proprie emozioni, richiamare il giusto stato d'animo per ogni situazione, scoprire cosa si vuole veramente dalla vita e a perseguirlo fino al successo (v. Roberto Re, uno dei più grandi formatori d'Europa)
La parola Leader deriva dal verbo inglese to lead, che significa guidare, condurre. In passato essa era riservata a una ristretta élite di persone: il ricco capitano d'industria, il grande uomo politico, l'indomito comandante militare. Poche erano le persone che potevano essere definite e considerate leader. Oggi le parole leader e leadership hanno assunto una connotazione diversa; vengono infatti abbinate più frequentemente a chi è in grado di guidare se stesso. Puoi trovare tutte le caratteristiche del leader di se stesso ed alcuni esercizi per migliorare la tua leadership personale. Inoltre scoprirai quali sono gli elementi chiave per esercitare una leadership anche sugli altri.
L'autostima si costruisce fin da bambini con ciò che i genitori, maestri, compagni dicono di noi e si rafforza o modifica grazie ai risultati che via via conseguiamo. L'autostima ha ripercussioni su tre importanti aspetti della vita quali:
il proprio modo di presentarsi agli altri, la facilità con cui si passa all'azione per realizzare i propri obiettivi e infine di reagire a successi ed insuccessi della vita.
L'autostima è un insieme, più o meno armonico, di valutazioni complessive che effettuiamo su noi stessi e che riguardano tutti gli ambiti della nostra persona. L'immagine che ognuno ha di sé è un mosaico che lentamente prende forma in base all'interpretazione delle risposte che riceviamo dagli altri e degli esiti delle nostre azioni. E' molto importante essere consapevoli del fatto che la stima che abbiamo di noi stessi influenza il nostro comportamento, le nostre relazioni sociali, la nostra efficienza sul lavoro, la nostra vita affettiva.
L'autostima non è da confondere con l'atteggiamento superbo di chi crede che nulla sia per lui impossibile, è piuttosto consapevolezza di sé, dei propri punti di forza e debolezza. L'immagine che ciascuno ha di sé é strettamente connessa all'immagine del mondo esterno, più esso appare costellato da miti più basso è il livello di autostima e sicurezza.
Nessun successo può essere conseguito senza autostima, infatti essa dona forza e tenacia per perseguire un obiettivo, permettendo anche di fronteggiare possibili fallimenti. Chi possiede un buon livello di autostima non si arrende dinanzi al fallimento, ma al contrario ne trae utili insegnamenti per il futuro. Avere fiducia in se stessi permette di essere liberi di forgiare la propria vita come si vuole e non come gli altri vorrebbero che fosse.
Ecco perchè la motivazione può essere considerata il vero segreto del successo: le persone di successo infatti sanno cosa vogliono, perché e soprattutto si attivano per ottenerlo, in sintesi sono motivate.
Motivo e azione compongono la parola "motivazione" che rappresenta dunque una spinta interna, prodotta da un'immagine chiara relativamente alla destinazione verso cui si tende. La motivazione è un costrutto usato per spiegare l'inizio, la direzione, l'intensità e la persistenza del comportamento diretto verso un obiettivo. Ecco perchè la motivazione può essere considerata il vero segreto del successo: le persone di successo infatti sanno cosa vogliono, perchè e soprattutto si attivano per ottenerlo, in sintesi sono motivate.
Il termine motivazione contiene dunque in sé il rimando ad un perché, uno scopo. Ciò che ci spinge ad agire in un determinato modo infatti non è propriamente l'obiettivo in sé, ma a ciò che ci darà raggiungerlo, a come ci farà stare, alle sensazioni che ci farà provare.
Da quanto premesso deriva che, in ultima istanza, all'origine della motivazione vi sono le nostre emozioni, in particolare le due emozioni fondamentali: il piacere ed il dolore. Tutti gli esseri umani sono spinti da queste due forze e compiono azioni per fuggire dal dolore o per raggiungere il piacere.
Capire il significato profondo, la missione, la finalità della propria attività lavorativa, permette di costruire un obiettivo professionale alimentato da una forte motivazione, il carburante che ti garantisce l'impegno per raggiungerlo.
Ansia e stress sono spesso correlati. L'ansia è infatti uno stato di attesa, in cui ci prepariamo ad affrontare una situazione potenzialmente minacciosa, mentre lo stress è la nostra risposta ad una richiesta di risorse necessarie per affrontare quella situazione.
Eliminare l'ansia e lo stress può essere invece molto semplice, se impariamo a gestire meglio le nostre emozioni, comprendendo come vengono create dal nostro focus mentale, dal nostro dialogo interno e dalla nostra fisiologia.
Scopri come eliminare le ansie e lo stress dalla tua vita di tutti i giorni imparando semplicemente a gestire i tuoi stati emotivi.
"Qual'è il mio vero obiettivo?"
Questa è la domanda da porsi lungo il cammino della vita.
Troppo spesso le persone non riescono a ottenere ciò che vogliono veramente perchè si lasciano trascinare dagli eventi, imprigionare dal tempo e dalle pretese altrui.
Neppure coloro che, secondo i canoni della società, sono considerate persone di successo sono immuni da questo fallimento e spesso si trovano a sacrificare la propria vita, famiglia e interessi proprio per raggiungere quel successo, senza accorgersi di immagazzinare, passo dopo passo, solo emozioni negative di rancore, paure e stress.
Per raggiungere il "vero successo", per sentirsi appagati e soddisfatti dei propri traguardi, si deve, invece sapere cosa si vuole e agire di conseguenza.
Scoprire cosa vuoi veramente dalla vita, definire meglio i tuoi obiettivi, perseguirli con determinazione e raggiungerli in modo semplice e sereno.
Seguendo un corso di tennis puoi imparare a giocare; facendo palestra puoi rafforzare i muscoli che non sapevi neanche di avere; allo stesso modo allenando le emozioni si può imparare a gestirle, prendendo più consapevolezza di sé e delle proprie capacità, disponendo di sufficiente forza di volontà e riuscendo a sbarazzarsi dei propri limiti mentali.
Le fobie sono oggi estremamente diffuse e, pur non essendo una patologia grave, rendono la vita difficile a moltissime persone, che vivono in una gabbia da loro stesse costruita senza vedere una possibile via d'uscita. La sofferenza soggettiva, quella indotta nelle persone vicine e il costo sociale delle fobie sono estremamente elevati e in continua crescita.
Hai mai provato la sensazione di essere al tuo meglio?
La sensazione di dare il meglio di te, di ottenere quello che vuoi senza sforzo e stress...
Il segreto per realizzare i propri obiettivi ed avere equilibrio e serenità sta nell'imparare a gestire efficacemente le proprie risorse, programmare i propri obiettivi e tenere il proprio focus allineato su quello che si vuole veramente.
Soprattutto quello da dedicare ai progetti che ti interessano, personali o professionali che siano?
C'è un modo per imparare a gestire al meglio il proprio tempo?
Di solito le persone che fanno un sacco di cose, che sono molto impegnate arrivano addirittura a credere che lo stress sia parte integrante della vita... ma non è così! Si può imparare a ridurre notevolmente la quantità di stress presente nella propria vita, ottenendo maggiori risultati e soprattutto più soddisfazione.
Forse non tutti hanno le stesse opportunità, la stessa fortuna. Non tutti incontrano le persone giuste, ma tutti dispongono dell'identico ammontare di tempo, per tutti la giornata dura ventiquattro ore, cioè 86400 secondi.
Peccato però che non tutti sappiano sfruttare appieno il tempo per raggiungere i propri obiettivi.
Uno degli elementi che ostacola maggiormente la nostra possibilità di essere felici sono i conflitti interni, ogni volta che sentiamo dentro il desiderio profondo di fare o ottenere qualcosa che sappiamo essere ciò che è giusto e migliore per noi e contemporaneamente un'altra nostra parte interviene limitando questo afflato che ci spinge verso qualcosa, ci troviamo nel bel mezzo di un conflitto interno, che altro non è quindi che la frizione, lo scontro tra la nostra parte che ci spinge ad elevarci e quella che tende a non farci ottenere ciò che desideriamo ed è meglio per noi e per la nostra felicità; potrai scoprire cosa crea i conflitti interni e come superarli.
Potrai dedicarti alla disciplina della Programmazione Neuro Linguistica (PNL, nata a Santa Cruz, California, nel 1970 dagli studi sulla struttura del linguaggio e della comunicazione condotti dal linguista John Grinder e dal matematico Richard Bandler. Oggetto di studio privilegiato è il linguaggio e l'influenza che esso esercita sul comportamento umano.
Particolarmente interessante è il termine "programmazione", che indica la valenza pratica di questa disciplina. Essa infatti è in primo luogo un utile strumento che ci permette di "riprogrammare" la nostra mente al raggiungimento della nostra realizzazione personale, utilizzando le teorie fondamentali relative alla percezione (sistemi rappresentazionali), alla comunicazione (come creare rapport) e all'autorealizzazione (i presupposti dell'auto realizzazione).
Spesso non ci rendiamo conto che le decisioni che prendiamo determinano il nostro destino. Infatti, chi siamo oggi non è altro che la somma totale delle decisioni che consciamente o inconsciamente abbiamo preso in passato e, per lo stesso motivo, tra qualche anno saremo lo specchio delle decisioni che avremo preso da adesso in poi. Certo, fare delle scelte implica a volte difficoltà, ma se non decidiamo cosa vogliamo per la nostra vita, se non lo pianifichiamo, rischiamo di finire nel piano che qualcun altro ha pensato per noi. Potrai scoprire cosa ci impedisce di prendere decisioni, come puoi affrontare la quotidianità e impostare il tuo futuro con sicurezza e coraggio.
(Fonte: web)

venerdì 4 settembre 2009

L'eredità dei giganti: l'articolo e le riviste scientifiche

Scrivere una relazione, un articolo, un rapporto, uno studio di fattibilità, un manuale, o un libro, è un’attività che gli ingegneri e gli scienziati devono costantemente svolgere nella loro carriera. Eppure, alcuni pensano che la redazione di un manoscritto sia la parte più noiosa e frustrante di un lavoro, che scrivere sia un’interruzione irritante del loro “vero” lavoro, un’attività di livello inferiore. Altri ritengono che scrivere sia un’attività che ha un solo scopo legittimo, quello di informare, trasmettere informazioni e dati da una testa all’altra. Le altre due funzioni della scrittura in genere, e di quella tecnico-scientifica in particolare, persuadere e motivare, secondo loro non riguardano gli scienziati. L’idea che la scrittura deve essere circoscritta solo ai
fatti e ai dati è limitativa: i problemi, le conclusioni e le raccomandazioni non sono dati, eppure giocano un ruolo importante in molta documentazione. Gli ingegneri e gli scienziati, per essere efficaci, devono fare molto di più che informare: devono anche provare, spiegare, valutare, giustificare, difendere, attaccare, scegliere, sostenere, confutare.
Nell’università l’unico momento in cui la scrittura è considerata, e spesso in modo superficiale anche da alcuni docenti, è quando si deve scrivere una tesi.
Per molti studenti la scrittura della tesi di laurea, di master o di dottorato, è l’attività più drammatica degli studi universitari: la redazione è un’agonia sia per lo studente sia per il relatore, la revisione è una tortura, e scrivere e riscrivere è una umiliazione. L’esperienza fondamentale di una tesi non è tanto, o soltanto, studiare cose nuove, ma imparare a lavorare su problemi irrisolti in modo autonomo. La redazione della tesi deve quindi riflettere anche questa maturità. Una tesi valida non soltanto per il contenuto, ma anche per la sua leggibilità, organizzazione e aspetto, è spesso un’ottima prima presentazione per il mondo del lavoro.
La comunicazione tecnico-scientifica (scritta e orale) è tradizionalmente associata all’ingegneria e alle scienze. Oggi, però, essa, soprattutto nel solo aspetto tecnico, tocca quasi ogni attività e professione, e con una gran varietà di documenti, articoli, relazioni, definisce, descrive e guida le attività nell’industria, nelle professioni, negli enti statali, nelle istituzioni della ricerca, nella scuola, in breve, in una qualunque attività umana ben strutturata.
Molte persone leggono documenti tecnici di varia difficoltà in diverse occasioni, sia al lavoro sia a casa. Per esempio, informazioni particolareggiate sulla natura e caratteristiche della voce, e sugli organi che la generano, sono importanti sia per i medici sia per gli ingegneri dell’informazione che progettano sintetizzatori. Sapere come funzionano i muscoli è importante per i fisioterapisti, i ciclisti, i medici. I dati sul tempo sono cruciali per i meteorologi, i pescatori, gli operatori turistici. I foglietti illustrativi che accompagnano i medicinali sono letti da operatori della sanità di cultura e funzioni diverse, oltre che dal malato.
La scrittura è uno stimolo importante per il progresso della scienza e della tecnica e sua parte integrante. Mettere per iscritto le proprie idee su un argomento ne migliora sempre la comprensione, perché la scrittura non è indipendente dal processo mentale d’apprendimento, o da quello che porta alle scoperte.
Spesso la scrittura definisce o ridefinisce gli obiettivi, i confini e il significato delle stesse scoperte. Esempi storici mostrano che le idee emergono, si sviluppano, cambiano forma e sono abbandonate perché sostituite da nuove idee e spiegazioni, che si rivelano essere quelle corrette Scrivere un manoscritto scientifico non è un esercizio di ricostruzione fedele del processo creativo ma ne fa parte, e in modo profondo. Nessuno, infatti, sa con precisione ciò che pensa finché non lo esprime con parole scritte o pronunciate.
Un articolo è pubblicato validamente se appare in riviste che costituiscono la letteratura principale. La pubblicazione è valida se:
a) È la prima pubblicazione che riporta informazioni sufficienti per permettere alla comunità scientifica, contemporanea o futura, di valutare le osservazioni, la teoria, i risultati, il processo intellettuale, o di ripetere gli esperimenti.
b) È sottoposta a giudici.
c) È pubblicata su una rivista, o atti di un congresso, disponibili in modo permanente e senza restrizioni.
Alcuni atti dei congressi, i rapporti interni, le proposte scritte per enti statali, o internazionali, la documentazione accessibile attraverso internet, non si qualificano come letteratura principale, perché non soddisfano uno o più dei criteri su elencati.
Nel mondo della ricerca (italiana e internazionale), pubblicare un articolo ha un significato ben diverso dal concetto di pubblicazione legale che vige in Italia, dove un qualsiasi testo può essere “pubblicato” se è depositato presso la Procura della Repubblica e la Prefettura (si veda la legislazione al riguardo). Questo concetto non fa parte della tradizione scientifica, come si evince dal quadro storico descritto nella prossima sezione.

Nascita, sviluppo e struttura della comunicazione tecnico-scientifica
L’invenzione, nell’Europa occidentale del XVII secolo, di un meccanismo per pubblicare in modo sistematico frammenti di lavoro scientifico mediante un articolo, può essere stato l’evento chiave nella storia della scienza moderna.
Per pubblicare i risultati di una ricerca non è più necessario raccogliere molto materiale, o inventare un sistema o una teoria complessa e completa fin nei minimi particolari. La pubblicazione sistematica accorcia i tempi di propagazione del sapere e ne moltiplica gli effetti nella comunità scientifica. È pur vero che un articolo non è che un tassello di un mosaico più vasto, importantenon per se stesso ma perché parte di un grande scenario, tanto che molti modesti contributi alla grande banca delle conoscenze umane producono un potere collettivo più grande di quello del singolo.
Gli articoli del XVII e XVIII secolo erano lettere erudite inviate ai segretari o ai presidenti delle società scientifiche e ai direttori o curatori delle riviste, non più a privati, con l’intesa che sarebbero state pubblicate nella forma originale, o in una versione riscritta dal direttore o dal segretario. Molti di questi articoli, per gli standard moderni, erano molto brevi: il semplice cenno a qualche osservazione o scoperta, spesso soltanto uno o due paragrafi. Spesso il principio organizzativo degli articoli lunghi era una narrazione storica, con esperimenti legati a posti e tempi particolari.
Il XIX secolo portò significativi progressi nel progetto sperimentale, nei metodi statistici d’analisi dei risultati sperimentali, e nuove teorie spiegarono risultati sperimentali e osservazioni.
Di conseguenza i direttori delle riviste e il corpo, rapidamente crescente, degli scienziati professionisti iniziarono ad imporre standard più rigorosi su ciò che doveva costituire un articolo accettabile e ad aspettarsi, sia dall’autore sia dal lettore, qualche familiarità con le conoscenze già note, ricordando che la scienza è cumulativa. La forma dell’articolo doveva cambiare per soddisfare queste nuove attese.
Il secolo XIX portò il cambiamento che condusse al principio organizzativo, oggi universalmente accettato, noto come struttura canonica:
1) Intestazione (titolo, lista e credenziali degli autori)
2) Riassunto
3) Introduzione
4) Corpo (metodi, teoria, esperimento, risultati)
5) Discussione
6) Conclusione
7) Ringraziamenti
8) Riferimenti bibliografici (bibliografia).
La rivoluzione scientifica del XVII secolo cambiò radicalmente il terreno di lavoro della scienza perché dette grande importanza all’esperimento e all’osservazione, ritenne che le leggi della natura devono essere espresse da leggi matematiche, evidenziò la predizione dei risultati, e diffuse l’idea che le nuove scoperte fanno avanzare sia la conoscenza di sé e dell’universo, sia il dominio sulle forze della natura, per una maggior utilità dell’umanità.
Nella storia questa è la prima rivoluzione dedicata ad uno sviluppo continuo, tuttora in svolgimento, e ad una ricerca senza fine.

Il cambiamento fu istituzionalizzato nella nascita di periodici scientifici, fondati con lo scopo di divulgare e pubblicare nuovi risultati per il beneficio di tutti, di essere i depositari delle scoperte (archivio dell’umanità), e di assicurare la priorità e la proprietà intellettuale allo scopritore, scopi tuttora perseguiti dalle riviste.
Nella presentazione del primo numero di Alta Frequenza (una storica rivista italiana dell’ingegneria elettronica e delle telecomunicazioni), nel 1932, si afferma che la rivista: «vuol sì raccogliere i lavori italiani, che finora si dividevano fra varie pubblicazioni, non tutte completamente “specializzate”, e renderli meglio noti e apprezzati in Italia e fuori...
A tal fine essa si propone non solo di attuare una raccolta di seri scritti originali ma di essere anche, più e meglio di certe pur autorevoli pubblicazioni straniere, un periodico di informazione o, come oggi si dice, di documentazione scientifica e tecnica».
Alle discipline fisiche classiche (d’origine greca, quali la meccanica, l’ottica e l’idraulica teorica) intese come matematica applicata, all’inizio del XVII secolo si aggiunsero altre quasi prive della componente matematica, ma ricche di osservazioni ed esperimenti (elettrologia, magnetologia, fisica del passaggio di stato, struttura della materia ed altre), discipline la cui matematizzazione, cioè l’uso del moderno linguaggio scientifico, avvenne nei due secoli successivi, a partire da Galileo Galilei (1564-1642). In questo periodo il processo raggiunse il suo punto più alto con la pubblicazione (1687) dei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica di Isaac Newton (1642-1727), ossia i Principi matematici della filosofia naturale.
La grande importanza rivolta alle osservazioni e agli esperimenti influì molto sulla comunicazione tecnico-scientifica, scritta e orale.
Per loro natura, le osservazioni e gli esperimenti sono confinati entro un’area ben definita, hanno
una loro unità, e la pubblicazione che possono generare è breve. Questa caratteristica fu di grande importanza per l’affermazione dell’articolo come mezzo di comunicazione e per lo sviluppo della rivista, perché condusse alla seguente formula: un esperimento o una osservazione ⇒ una comunicazione ⇒ una pubblicazione.
Prima della comparsa delle riviste periodiche, il mezzo di comunicazione preferito era, e da sempre, il libro.
Nell’antichità classica la comunicazione tecnico-scientifica era basata esclusivamente su libri, spesso monografici come le opere di Euclide (330?-275? a.C.) o Archimede (287-212 a.C.), e tecniche nuove valide potevano anche trovarsi disseminate in libri che trattavano argomenti di tutt’altro genere. Un esempio è l’interessante proposta di miglioramento delle segnalazioni luminose formulata da Polibio (200-118 a.C.) nelle Storie, il primo telegrafo (= scrittura a distanza) della storia.
Il libro, però, non è né tempestivo né economico, perché l’autore, per giustificarne la pubblicazione, deve aspettare fino a quando non ha accumulato un numero sufficiente di risultati sperimentali o di sviluppi teorici. Il libro tende a presentare argomentazioni complete, e non permette al lettore una risposta immediata. La comunicazione attraverso i libri tende ad evitare il confronto, a ridurre il disaccordo e la discussione, e non sviluppa la competizione nella comunità scientifica.
Un mezzo qualificato per pubblicare brevi articoli c’era già: erano le collezioni, raccolte monografiche di articoli, pubblicate dalle accademie e dalle società scientifiche. Queste raccolte avevano però difetti tali da non poter essere uno strumento efficace della comunicazione tecnico-scientifica.
Uno era la lingua usata. Contrariamente a quello che comunemente si crede, nei secoli XVII e XVIII molte pubblicazioni erano in volgare, non in latino, anche se quest’ultima era pur sempre la lingua preferita della comunicazione scientifica accademica, e ciò poteva essere un ostacolo alla diffusione delle conoscenze. Galileo, infatti, pubblica in italiano il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano (1632) e i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica ed i movimenti locali (1638), perché vuole comunicare con il pubblico colto, non con i filosofi naturali (ossia gli scienziati dell’epoca).
Ma quando si rivolge agli accademici usa il latino: nel Sidereus Nuncius e nel trattato, contenuto nei Discorsi, nel quale discute il moto rettilineo uniformemente accelerato. René Descartes (Cartesio, 1596-1650) pubblica la Geometria in francese (1637), Newton pubblica una raccolta di scritti di ottica, Ottica (1704), in inglese.
(fonte:web)

giovedì 3 settembre 2009

Un pianeta più intelligente

IBM - Come comunica un pianeta più intelligente: conversazioni

Che suono ha il nostro pianeta quando parla? Un secolo fa la risposta era semplice: la voce della gente che chiacchierava, di persona oppure attraverso i fili del telefono. Oggi, invece, non sono più solo le persone a parlare, ma anche tutte le cose parlano tra loro: dagli smart phone alle automobili, dai contatori dell’energia agli elettrodomestici.
Entro il 2011 sul Web ci saranno due miliardi di persone. E faranno molto di più che parlare. Entro il 2012 i video on demand, la televisione IP e la TV via Internet conteranno per circa il 90% del traffico di consumatori in rete. E anche le conversazioni in rete coinvolgeranno sempre più persone: gli iscritti ai siti di social networking oltrepasseranno i 500 milioni nei prossimi tre anni.
A Londra 10.000 videocamere di sorveglianza sono connesse in rete e trasmettono immagini 24 ore su 24. Prendiamo in considerazione 300 sensori installati su un ponte nel Minnesota, aggiungiamo a questi altri 800 dispositivi di monitoraggio su un altro ponte a Hong Kong e moltiplichiamoli per i milioni di strade, ponti e palazzi in tutto il mondo. A tutto questo aggiungiamo miliardi di telefoni intelligenti, videocamere, automobili, dispositivi e milioni di chilometri di reti elettriche e arterie stradali intelligenti.
Non c’è da stupirsi se in appena tre anni si prevede che il traffico IP totalizzerà più di mezzo zettabyte. (Un zettabyte equivale a un trilione di gigabyte oppure un 1 seguito da 21 zeri.)
Un pianeta più intelligente richiederà un’infrastruttura per le comunicazioni più intelligente.
Per importante che sia, la banda larga ad alta velocità non rende intelligente una rete. E’ necessario che la rete funzioni in modo multi direzionale. Le reti intelligenti devono essere dotate di sistemi di analisi avanzata e di intelligenza operativa che identificano i diversi dispositivi tecnologici integrati e interconnessi e possono raccoglierne le informazioni rilevanti. Dovranno essere costruite basandosi su standard e software che permettano a trilioni di dispositivi e oggetti di “parlare”. Infine, avremo bisogno di piattaforme digitali della prossima generazione che consentiranno ai provider di telecomunicazioni di creare ed erogare servizi di ogni genere.
Fortunatamente, le comunicazioni più intelligenti sono a portata di mano. Una tra le più importanti società di telefonia mobile in India sta utilizzando una piattaforma digitale di IBM per fornire dinamicamente a centinaia di milioni di utenti nuovi servizi. Negli USA, un ospedale sta applicando un’infrastruttura pervasiva wireless, il sistema di codice a barre e l’RFID per gestire le sue strutture e amministrare le prescrizioni dei medicinali, aumentando così la sicurezza per i pazienti e l’efficienza operativa. A Taiwan un operatore di rete offre pubblicità personalizzata che si basa sui modelli di acquisto dei suoi abbonati, mentre i singoli abbonati di un carrier telefonico in Cina stanno collaborando direttamente con l’azienda per creare nuovi servizi. In California, infine, un’università ha lavorato insieme ad IBM al progetto della prima soluzione wireless per i parcheggi che nel Nord America verrà integrata con terminali per il pagamento.
Un pianeta che comunica in modo intelligente stimolerà nuovi progressi, aprirà possibilità inimagginabili, dalla scienza alla medicina, al business e alla tecnologia, aiutando così miliardi di persone a integrare l’economia globale. Perché quando le cose comunicano, i sistemi comunicano. E quando i sistemi comunicano, il mondo diventa più intelligente.
Costruiamo insieme un pianeta più intelligente. Per saperne di più, visita ibm.com/think/it
Altri link
Comunicazioni più intelligenti
Un pianeta più intelligente. Com’è?
“E’ il momento di costruire un pianeta più intelligente”
Partecipa al dibattito: collegati al blog Smarter Planet

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Giornalisti o comuni cittadini?

Perché noi giornalisti non possiamo considerarci «comuni cittadini»
I fatti sono fatti, e non insinuazioni. Al pubblico e ai lettori il giudizio finale Carlo Mentana, ma che giornalismo è quello che si occupa dei giornalisti?
Quando ho visto la sua foto sul Giornale di Feltri, io, che leggevo quel quotidiano ai tempi di Montanelli e poi non più, l’ho letto e mi sono detto: chi se ne importa (con tutto il rispetto per lei). E poi mi hanno detto che da tempo c’è una campagna in atto contro Repubblica (altro quotidiano che non leggo) e oggi vedo un attacco violento e privato con titolo a nove colonne su un altro direttore, quello dell’Avvenire (l’ho letto al bar). È questo che ci meritiamo? Questa informazione?
Renzo M., Pavia
Lasciamo perdere l’aspetto personale e guardiamo con freddezza alla sostanza. Il giornalismo è il mestiere di informare, certo. Ma vuol dire anche dare a un pubblico di lettori, ascoltatori o telespettatori notizie e commenti ispirati al patto che si è instaurato con quel pubblico. Un giornalista può lavorare in un quotidiano sportivo, in una rivista di strategia internazionale, in un settimanale di gossip. Sempre il giornalista fa. Con un’etica e degli obblighi professionali che sono gli stessi sia che parli di Totti sia che scriva di Obama.
1. Non dire il falso,
2. non violare la privacy di nessuno,
3. non mettere di mezzo minori,
4. non ottenere in modo illegale le notizie,
5. verificare le fonti.
Dentro queste linee guida un giornale, un tg, una rubrica di approfondimento possono fare quello che vogliono, sapendo bene di doversi misurare anche con i gusti del pubblico (vince chi dà per primo le notizie, o le dà meglio, ma anche chi vende più copie o ha più ascolto). Audience e tiratura sono materie che più dovrebbero interessare gli editori, che però in Italia spesso concepiscono in modo distorto il loro mestiere, utilizzando le testate come strumenti di pressione o di potere.Tutto questo è noto. Ma ci serve anche per dare le risposte che il lettore vuole. Anche nell’informazione si tende a rispettare la vita privata dei personaggi pubblici, che pure in quanto tali non hanno lo stesso diritto alla privacy dei comuni mortali. Negli ultimi mesi questa consuetudine – non un obbligo né un adempimento di legge – è stata abbandonata per quanto riguarda Berlusconi. Ma con almeno due agganci obiettivi alla realtà dei fatti: la richiesta di divorzio fatta dalla moglie dopo la partecipazione del premier alla festa dei 18 anni di una ragazza napoletana, e gli sviluppi di un’inchiesta giudiziaria che evidenziava tra le sue carte la presenza di professioniste del sesso in feste a casa del Cavaliere. C’è chi attorno a queste vicende ha costruito una insistente campagna di stampa, Repubblica, chi è stato obiettivamente più cauto, il Corriere della Sera ad esempio, chi ha ignorato il tutto, come il Tg1, teorizzandone l’insignificanza. C’è anche chi ha cercato di fare «controinformazione » sull’argomento. Il più spregiudicato è stato Libero, diretto da Vittorio Feltri. Ora Feltri è tornato al Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, e continua nell’opera, con lo stesso stile corrosivo e gridato. Ha duramente messo in mezzo il direttore di Avvenire, nel modo che sappiamo. Il senso era chiaro: eccolo lì quello che voleva fare la morale al premier, giudicate voi da che pulpito è partita la predica. Io un attacco così non l’avrei mai fatto e nella pagina precedente Gad Lerner è già stato molto duro. Ma è giusto anche dire che l’invettiva del Giornale parte da un fatto, una condanna per molestie patteggiata. E un fatto è un fatto. Non è un’insinuazione, come non lo è l’inchiesta giudiziaria di Bari. Anche se l’attacco di Feltri a Boffo è interpretato come «colpirne uno per educarne cento », rispetto agli altri giornalisti che si sono esposti nelle critiche sulle feste del Cavaliere, io reputo che anche noi giornalisti non possiamo considerarci comuni cittadini, o peggio «legibus soluti». Proprio perché protagonisti del dibattito pubblico e amministratori del bene collettivo dell’informazione, abbiamo molte responsabilità, e ci capita di rispondere dei nostri comportamenti, se hanno avuto una sanzione civile o penale. Poi sta ai lettori o agli spettatori scegliere se un attacco è motivato, eccessivo o inutile, se è giusto o strumentale, se seguire più spesso o smettere di leggere o di guardare chi l’ha lanciato. E allo stesso modo spetta a chi ha sancito la credibilità o popolarità del soggetto attaccato soppesare la congruità o la gratuità delle accuse. Spesso questo genere di fuoco incrociato allunga la vita professionale di chi lo subisce, perché ispessisce le solidarietà e le fedeltà del pubblico: ma questo ormai lo dovrebbe aver capito anche il bersaglio numero uno…
Su Vanity Fair 36/2009

mercoledì 2 settembre 2009

Etica ed economia della cura della salute

A prima vista, l'etica e l'economia non sembrano buone alleate nel trattare un argomento comune, tanto più se l'argomento è la cura della salute. E' costume diffuso, infatti, quello di distinguere l'etica dall'economia, erigendo la prima a paladino della vita, dal buono, del giusto e considerando la seconda come la "disciplina" dell'utilitarismo e della riduzione dei costi.
Il conflitto, apparente o effettivo, non è facilmente risolvibile in quanto nella realtà intervengono numerosi giudizi di valore, che non sempre sono convergenti. In particolare, l'equivoco è alimentato da due elementi:
1. il valore che ognuno di noi attribuisce al bene salute
2. i percorsi di acquisizione e utilizzo delle risorse
1. Il bene salute è un elemento così importante, che ognuno di noi sarebbe spontaneamente portato a rifiutare qualsiasi limitazione posta ai mezzi per salvaguardarlo, mantenerlo o ripristinarlo. Tale convinzione apparentemente si contrappone alla disciplina economica, alla cui base si pone il principio di scarsità delle risorse. In realtà, la limitazione alle risorse disponibili nel settore sanitario non è imposta dall'economia, ma dal fatto che le risorse in natura sono limitate. L'economia, proprio a causa della scarsità delle risorse, interviene come disciplina per ottimizzare l'utilizzo delle risorse a disposizione.
2. La cura della salute, così come ogni altra attività di produzione, si confronta con l'ambiente al fine di ottenere delle risorse da utilizzare per soddisfare i bisogni sia dell'ambiente (dal quale provengono le risorse) sia dei membri dell'organizzazione (che lavorano per soddisfare i loro bisogni). Il contrasto apparente con le discipline economiche si evidenzia nel momento in cui l'organizzazione sanitaria deve procurarsi i mezzi per proseguire la propria attività, confrontando sul mercato i prodotti della propria attività (ad es., case mix - ossia, offerta di prestazioni, volume di prestazioni, outcome) con i mezzi messi a disposizione dal sistema di finanziamento per la cura della salute. Anche questo elemento non trova ostacolo nella disciplina economica, che invece si offre per fare chiarezza sui percorsi di acquisizione e di utilizzo delle risorse.
Per copmprendere il rapporto fra etica ed economia è necessario considerare una possibile definizione del termine etica.
L'etica, dal greco éthos, può essere definita come la questione del bene o del giusto, dell'esigenza incondizionata (l'assoluto, la verità) rispetto alle esigenze meramente condizionate (il bisogno, la contingenza).
La questione etica fondamentale (che cos'è bene? che cos'è giusto?) ha una dimensione storica (Rich, 1993), che è frutto della conoscenza e dei principi che un popolo ha maturato nel tempo (un patrimonio normativo socialmente ereditato), ed una dimensione immanente, che si presenta nella vita quotidiana di ogni persona (metodo consapevole di affrontare la ricerca del giusto e del bene).
L'etica va oltre il costume e l'ordinamento positivo (le norme che si sono affermate in un dato periodo di tempo), alla ricerca incondizionata del giusto e del bene (Albano, Maiorano, 1985). Essa è e rimane una questione che non è mai possibile "chiudere" con una risposta definitiva, in quanto l'uomo deve costantemente assumersi la responsabilità del bene e del giusto in favore del quale intende schierarsi tenendo conto dei condizionamenti della società in cui vive.
Le implicazioni dell'etica sull'economia sono rilevanti, specie nel settore della cura della salute, basti pensare ai tre quesiti fondamentali dell'ordinamento economico:
1. Che cosa e in che misura bisogna produrre?
2. Come bisogna produrre?
3. Per chi bisogna produrre?
Questi interrogativi, presenti in ogni società indipendentemente dal grado di sviluppo e dalla struttura, solo in apparenza possono essere considerati come questioni meramente economiche.
Il fine fondamentale dell'economia è quello di attenuare le restrizioni imposte dalla scarsità delle risorse allo scopo di soddisfare i bisogni di una popolazione: quali bisogni soddisfare, in che misura questi devono essere soddisfatti, quali sono le priorità, sono questioni etiche che non possono essere lasciate senza adeguata considerazione.
L'economia può fornire dei modelli di analisi, può mettere in confronto le varie alternative, ma la scelta di sviluppare un programma anzichè un altro è una decisione che ha implicazioni etiche.
L'economiamette a disposizione dei decision maker strumenti per affrontare in maniera sistematica e consapevole i problemi di scelta, ma le decisioni che sottensono l'utilizzazione delle risorse richiedono una riflessione etica che riguarda, secondo i diversi punti di vista, il paziente e la famiglia, i professionisti della cura, e la società considerata nel suo insieme. E' troppo comodo affermare che è la cassa di risonanza che stona, a volte anche la voce di chi canta non è perfettamente intonata.
L'umanizzazione della cura, il motto che accompagna la riorganizzazione dei sistemi di cura della salute nel nuovo millennio, a ben vedere non è qualcosa di estrinseco da dover aggiungere rispetto alla dinamica del percorso assistenziale. La visione "deterministica" (routine) e ""monodimensionale" (valutazione separata dei costi e dei benefici) del percorso assistenziale viene messa in discussione su più fonti.
Considerare il paziente come persona, tenendo conto delle dimensioni psicologiche, spirituali, relazionali, e sociali, oltre che di quelle fisiologiche, omplica un ripensamento delle attività di cura in funzione degli esiti (intesi nell'accezione multidimensionale di outcome).
La consapevolezza della scarsità delle risorse non sempre è in conflitto con l'etica professionale, ma spesso ne costituisce il presupposto. Dal giuramento di Ippocrate (Serini, 1988), ai recenti codici deontologici, alle raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità emerge a chiare lettere la necessità di un impiego razionale dell'utilizzo delle risorse.
Il dibattito in corso sui rapporti tra etica ed economia per la cura della salute suscita vivo interesse sia fra i professionisti del settore sia nell'opinione pubblica e questo pone le premesse per una nuova concezione della cura della salute che considera la medicina, l'economia e l'etica come alleate al servizio della vita.
La definizione di etica qui riportata ha il solo scopo di chiarire il concetto sotto l'aspetto terminologico; per una trattazione più approfondita si consiglia la lettura del volume "Etica economica" (Rich, 1993).
(Fonte: web)
Prendersi cura di se stessi / Take care of yourself
Test salute
Pulizia salute intestino
Dieta per i malati di cancro
Dieta per il cuore sano
Allergie
Salute mentale
Efficacia della preghiera e della meditazione

martedì 1 settembre 2009

Chi si deve occupare di scienza

In molti campi dello scibile, troppo spesso si osserva che, a fronte di un enorme quantità di dati, si abbia un modesto, quando non addirittura irrilevante, aumento delle conoscenze.
Da questo deriva la necessità di rivedere modalità e regole che governano sia la comunicazione degli esiti delle proprie ricerche alla Comunità Scientifica ("Publish or Perish"), sia il trasferimento e la divulgazione di conoscenze consolidate e di recenti acquisizioni.
In particolare, per quanto riguarda il settore della scienza e tecnologia degli alimenti, anche alla luce della produzione scientifica nazionale recensita dalle biblioteche informatiche internazionali, forse è arrivato il momento di iniziare a riflettere, tutti insieme s'intende, sull'attualità e sulla validità dei "perchè" e dei "come" delle nostre ricerche e del trasferimento delle conoscenze, oggi.
I risultati della scienza e della tecnologia, se da un lato hanno consentito straordinarie accelerazioni del sapere, dall'altro per l'uso improprio di alcune tecnologie hanno provocato, specialmente negli ultimi anni, il sorgere di quesiti che l'uomo non si era mai posto.
Proprio la necessità di tutelare i fondamentali diritti dell'individuo, cioè la vita, la salute, la dignità e tutti i valori a quest'ultima connessi, rende conto dell'esigenza di una regolamentazione dell'uso di molte delle applicazioni della scienza.
Si è molto discusso, ad esempio, del diritto del singolo ad un patrimonio genetico non manipolato, del diritto alla segretezza del genoma, del diritto di ognuno ad una morte dignitosa esente da ogni forma di accanimento terapeutico.
Ma pensiamo anche a nuovi diritti, in passato poco considerati, come la salvaguardia della biodiversità, il rispetto per l'ambiente, uno sviluppo sostenibile, un'alimentazione per tutti sicura, salutare, gradevole ed accessibile.
Crediamo che chiunque e a qualsiasi titolo sia impegnato nella ricerca scientifica non possa "chiamarsi fuori" da queste fondamentali questioni.
Ecco allora che diventa sempre più importante il tanto auspicato dialogo tra le "due culture", la letterario-umanistica" e quella "scientifico-tecnologica", anche perchè la polverizzazione del sapere per effetto di una eccessiva specializzazione ha raggiunto, almeno in taluni settori, un livello davvero inaccettabile.
La frantumazione della tecnica in mille e mille specializzazioni ha polverizzato la partecipazione collettiva al lavoro e svuotato di senso comunitario la stessa esistenza. Ma la cultura degli uomini non si lascia immiserire fino alla scomparsa.
L'epoca dell'informatica risollecita l'intelligenza a formulare giudizi globali dove si compongono i conflitti tra umanesimo e scienza, per una nuova capacità progettuale infinitamente più vantaggiosa per l'essere umano nella sua unità.
Le scienze umane e sociali, la storia, la sociologia, l'antropologia, la filosofia, costituiscono il tramite per una ritrovata unità del sapere".
In questo senso, l'istituzione "Università", proprio per le sue origini e la sua storia rappresenta l'Universo delle diverse discipline, il loro naturale punto di incontro, la massima espressione del concetto di sinergia culturale, rischiando così di perdere il contatto con l'essenza stessa dell'avventura scientifica.
In questa fase di sviluppo del nostro Paese è particolarmente importante che la ricerca, intesa come inesauribile fonte di idee, realizzazione di progetti e sviluppo di prodotti scientifici, non sia soltanto privilegio di pochi "addetti ai lavori", ma possa anche servire per soddisfare esigenze della società e degli individui che la compongono.
Ad esempio, nei rapporti tra Università e Imprese vi è da dire che la pressione esercitata sui sistemi di ricerca per la traduzione delle conoscenze in applicazioni tecnologiche stimola sempre più stretti legami tra scienza e tecnologia, quindi tra scienza e sistemi produttivi.
Ma se da un lato la sequenza "Ricerca-Innovazione-Sviluppo" è il motore del processo evolutivo, lo stesso meccanismo produce effetti di "selezione" nel sistema imprenditoriale che colpiscono le aziende più deboli si comprende quindi come la disseminazione e il trasferimento mirato delle conoscenze e dei risultati delle ricerche siano diventati strategie prioritarie a livello europeo, nazionale e locale.
(Lerici C.)

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